C
O N F
I N D U S
T R I A
La Confederazione Generale
dell’Industria Italiana,
nota come Confindustria, nasce il 5
maggio 1910.
La prima sede era a Torino e solo nel
1919 si trasferì a Roma.
Confindustria nacque per sostenere e
difendere gli interessi delle imprese associate.
Ma l’evoluzione della stessa è più
complesso, rispetto al principio fondativo.
Infatti, già nel 1919, il suo
presidente, Dante Ferraris, fu nominato ministro dell’industria nel governo
Nitti.
Con l’avvento del fascismo, “aiutato”
dagli industriali, dopo brevissimo periodo, si schierò, anima e corpo con esso.
Nel 1925, con il patto di palazzo
Vidoni, Confindustria riconobbe, quale unico interlocutore, il sindacato
fascista.
Nel 1926 cambiò nome e divenne:
Confederazione Generale Fascista dell’Industria Italiana.
Addirittura nel suo logo apparve il
fascio littorio. Durato fino al 1943.
Nel 1934 divenne Confederazione
Fascista Industriali.
Giuseppe Volpi di Misurata ed Alberto
Pirelli ne furono i fautori.
Tant’è che Pirelli dovette
abbandonare la direzione dell’Azienda, nel dopo guerra.
Alla fine della guerra,
Confindustria, era sempre invischiata con la politica.
Alcide De Gasperi, presidente del
consiglio, definiva confindustria il quarto partito.
Nel 1958 fu istituito il ministero
delle partecipazioni statali e l’Intersind, che trattava, con i sindacati, per
le industrie IRI ed Efim.
Ciò ruppe, almeno apparentemente, la
chiusura di Confindustria nei confronti sindacali.
Bisogna aspettare i primi anni
settanta, dopo l’ondata di contestazioni generali, perché anche in
confindustria si aprisse qualche squarcio di novità.
Il tutto incominciò con il così detto
rapporto Pirelli, che apri, anche in confindustria , una certa democratizzazione
e comunque un peso maggiore delle organizzazioni periferiche.
Con la presidenza Agnelli, si tentò
di fare un patto fra produttori, contro la rendita, che si annidava anche in
imprese associate a confindustria.
D'altronde, come sosteneva Guido
Carli: la borghesia produttiva aveva scambiato la sua causa con la
conservazione; rinunciando a introdurre elementi di liberalizzazione nel
tessuto economico.
Continua, Carli: i ceti
imprenditoriali volevano solo che lo stato gli aiutasse nei loro affari, senza
mai identificarsi nelle istituzioni.
Esemplare il commento di Carlo
Azeglio Ciampi, uscendo dalla assemblea annuale di confidustria, rispondendo ad
un giornalista: sono proprio bravi questi industriali, bravi a dire cosa
debbono fare gli altri, senza mai dire cosa dovrebbero fare loro.
Poi assecondarono Craxi, con il
taglio della contingenza e la nave va con la Milano da bere.
Conseguenze, sparizione grandi
industrie, che paghiamo tutt’ora.
Ultimo, solo in ordine di tempo,
l’adesione sperticata al referendum renziano.
Commissionando al, suo, centro studi,
una previsione farlocca, sulle conseguenze del no alla riforma.
Conseguenze smentite dal dopo
referendum
Forse il presidente attuale, Vincenzo
Boccia, doveva qualcosa alla politica per la sua elezione, dato che, ormai le
industrie di stato, hanno un peso all’interno della struttura confindustriale.
Non sarebbe male se si tornasse alle
origini, cioè la difesa degli associati.
Sarebbe un beneficio sia per i
singoli che per l’intera economia.
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