E'
invece di tutta evidenza che nel momento in cui lavorando meno si produce
comunque tutto quello che serve, il problema si riduce unicamente al
mantenimento degli equilibri tra le varie economie mondiali.
Chiaramente
questo equilibrio è condizione necessaria, ma non sufficiente.

Ed
anche a questo è possibile fornire una soluzione. Questo
finanziamento infatti si otterrebbe dalla somma di vari elementi:
- I guadagni di produttività derivanti da una riduzione dell’effetto ‘affaticamento’ (che fa decrescere la produttività oraria col passare delle ore di lavoro).
- Un contributo salariale. Sicuramente il più difficile da accettare per i lavoratori, e proprio per questo dovrebbe avere uno sviluppo diluito nel tempo. Piuttosto che tagliare il reddito la soluzione potrebbe prevedere una compressione della loro crescita nel tempo.
- Infine, anche per gestire il punto precedente, dovrà esserci un finanziamento pubblico, sicuramente limitato nel tempo, che agevoli questa transizione, ma che dovrà necessariamente avere una scadenza.
Ma
se questa operazione, opportunamente gestita, potrebbe avere un
saldo, tra vantaggi e svantaggi, sicuramente positivo, perché non si
sviluppa? Una probabile spiegazione è data dall’uso (e abuso) di
quello che nel mondo della finanza è chiamato benchmarking:
un processo
continuo di misurazione di prodotti, servizi e prassi aziendali,
mediante il confronto con i concorrenti più forti.
Metodo che porta
inevitabilmente ad adottare comportamenti non
prevalentemente in base ad analisi e pareri propri, ma basandosi
soprattutto sull’orientamento generale di investitori più potenti.
Possiamo definirle economie
di imitazione.
Grazie a queste il dispendio di energie si può minimizzare ed il
risultato non si discosterà da quello medio.
Questa
pratica si è propagata in tutti i settori, copiare i prodotti, le
idee, i processi è diventata una pratica diffusa e la
globalizzazione (di cui si è precedentemente parlato) ha amplificato
enormemente le possibilità di praticarla.
Proprio
questo sembra dare risposta al quesito.
Il
timore di percorrere da soli (e soprattutto per primi) una nuova
strada disincentiva. Il rischio di perfezionare un sistema,
sostenerne i costi in termini di sperimentazione ed in termini di
svantaggio relativo (seppur momentaneo) scoraggia le iniziative in
quella direzione.
Ma le
evoluzioni geopolitiche degli ultimi decenni offrono nuove
prospettive.
L’Unione
Europea è ormai una realtà consolidata (nonostante
la sua crisi attuale e la crisi della sua moneta),
ed uno dei settori in cui questa struttura sovranazionale
è stata attiva è proprio il mondo del lavoro, anche se con
risultati, non sempre positivi
Un
passaggio fondamentale è infatti definito dall’articolo 45 del
Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, con il quale si
stabilisce la libera circolazione, su tutto il territorio europeo,
dei lavoratori appartenenti ai vari Stati membri. Questa però è una
operazione che rimane all’interno dei propri confini geografici,
ma l’Unione Europea rappresenta più di un quarto dell’economica
mondiale, e potrebbe permettersi una azione pionieristica nella
direzione di una riduzione dell’orario di lavoro.
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