mercoledì 27 novembre 2013

VOILA' ... LA POLITIQUE! - Tecnologia e Lavoro [2a parte] di G.Intaglietta

(Rileggi 1a parte

Il XIX secolo si caratterizza per i ritmi e la diffusione della crescita, ma anche il secolo successivo, il Novecento, ha dei tratti distintivi: in tutta Europa la generalizzata crescita economica (con l’esclusione del periodo delimitato dalle due guerre mondiali) va di pari passo con il cambiamento strutturale dell’intera economia
 
Man mano che le varie economie crescono, incrementando il livello generale del PIL (sebbene come si è visto i benefici non siano sempre immediatamente condivisi da chi li genera).
E’ inoltre rilevabile un interessante sviluppo di questa evoluzione: nel momento in cui la tecnologia ha liberato risorse (per meglio dire: manodopera) nel settore dell’agricoltura, queste sono migrate nell’industria, e quando anche qui la tecnologia, soprattutto in veste di automazione, ha a sua volta liberato manodopera, questa ancora una volta si sta spostando, ora, verso i servizi.

Ma quando anche questo settore, cosiddetto terziario, sarà saturo, quando anche qui la tecnologia, l’informatizzazione e la robotica faranno gran parte del lavoro, cosa ne sarà del tempo liberato?

La soluzione più immediata sembrerebbe quella di restituirlo al libero utilizzo dell’individuo, proseguendo nel trend che, sia pure con alcune discontinuità all’interno dei decenni, mostra un inequivocabile diminuzione del tempo dedicato al lavoro.

In questo scenario va sottolineato che, se da una parte gli imprenditori hanno perseguito solamente il loro profitto, anche chi ha governato ha in qualche modo contribuito a creare questa situazione. Si sono adottate politiche del ‘lasciar fare’, sempre troppo inclini a facili liberalizzazioni ed al mondo della finanza piuttosto che a quello della manifattura. 

Posizioni che, troppo spesso, non curano gli interessi diffusi, ma sono attente ai cosiddetti ‘poteri forti’.

Qualsiasi futura azione di governo dovrà quindi evitare di cadere nella trappola della pura e semplice riduzione del costo dei fattori produttivi – e segnatamente del fattore lavoro.
La riduzione dei salari non può essere in grado di colmare il gap del costo del lavoro rispetto a gran parte dei concorrenti che provengono da economie in sviluppo, ma rischia di spostare ancora un po' più in là nel tempo l'orizzonte di una presa di coscienza collettiva da parte di imprenditori, politica e sindacato, di affrontare la necessità  di porre mano ai modelli di organizzazione del lavoro per attuare una modernizzazione non solo degli strumenti e dei macchinari, ma soprattutto del modo con il quale il fattore lavoro viene gestito nei processi produttivi.

Purtroppo però i vari soggetti che in passato hanno deciso le politiche del lavoro (politica/sindacato tradizionale/aziende) non hanno considerato almeno due problemi

Il primo è di una evidenza disarmante: con l’attuale assetto non c’è lavoro sufficiente a riempire la giornata di tutti i lavoratori. Anche prestandosi a lavori mal retribuiti ed al di sotto della propria professionalità, la disoccupazione (soprattutto giovanile) resta molto alta (in Italia, oltre il 34%). 

Il secondo è dato dal fatto che la qualità della vita del lavoratore (quello peraltro meno sfortunato che trova un impiego) peggiora drasticamente. Non avendo un lavoro stabile deve continuamente ritarare la propria vita e i propri ritmi, in funzione della richiesta del momento. 

Ma questo, se diffuso su larga scala, rende meno solida tutta la società, in condizioni di incertezza è più difficile programmare il futuro, che si tratti di acquistare una casa o costruire una famiglia, la stabilità (almeno relativa) è un requisito essenziale per condurre una vita dignitosa. Infatti questi tipi di lavoro “sono percepiti, alla lunga, come una ferita dell’esistenza, una fonte immeritata d’ansia, una diminuzione di diritti di cittadinanza che si solevano dare per scontati”
 
Definita l’insostenibilità della flessibilità come sistema principale, è anche necessario indicare la direzione per individuarne la soluzione. Questa è individuabile proprio nella regola che principalmente viene adottata dal mondo imprenditoriale per la definizione dei prezzi. Questo è tanto più alto quanto più l’acquirente ha la necessità del bene in vendita.

Esattamente nello stesso modo, giacché la flessibilità ha un valore per il datore di lavoro, questa, o meglio, il reddito erogato al lavoratore ‘flessibile’, dovrebbe essere molto più alto di quello previsto per il lavoratore non flessibile.

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