ECONOMIA REALE
Sistema produttivo reale
Sull’industria si abbatte il macigno della
deflazione.
Indicativo che: il 20% delle imprese genera
l’82% del valore aggiunto; restante esposte all’erosione sia dei margini che
dei profitti.
Ci si trova di fronte ad una spaccatura
profonda, che rischia di diventare un elemento strutturale del nostro sistema
produttivo.
Siamo di fronte ad aziende (poche) che riescono
a stare dietro la “globalizzazione” ed altre aziende (molte) restano
“spiaggiate” sulla battigia del mercato interno (inerte, fermo).
Queste molte rischiano di essere
strangolate dagli effetti paralizzanti della deflazione.
Tale situazione si perpetua, anche se in
modo non macroscopico, da qualche anno.
Infatti, nel 2011, inizio della recessione,
il 20% delle imprese generava l’80% del valore aggiunto; oggi il 20,8% genera
l’82,1%. Come si può notare non passi da gigante, ma quasi una costante.
C’è da notare che le imprese esportatrici
sono mediamente più grandi (media 9,5 addetti contro i 2delle domestiche),
sempre mediamente sono oltre il doppio più produttive ed appartengono a
“gruppi” di imprese, nella misura del 22% a fronte del 3,5%.
Giova ricordare che tale situazione viene
da lontano, chi non ricorda quando i più avveduti denunciavano la fragilità
delle piccole imprese gli scellerati dicevano piccolo è bello, danzando sul
Titanic.
Ma come recita un vecchio adagio, prima o
poi i nodi vengono al pettine!
Ancora oggi si fa fatica a “vedere” questa
situazione che ha polarizzato talenti e risorse, come naturale, verso tali
imprese che hanno mantenuto l’equilibrio della bilancia commerciale ed ha
consentito al nostro “piccolo mondo antico” con l’export (che ne dice Boccia e
Confindustria).
In questo paese, ove spesa e debito
pubblico continuano a correre, le corporazioni arroccate e le liberalizzazioni
buone solo per gli altri l’evasione fiscale delle persone “perbene” e la
criminalità organizzata che, ormai, sembra l’unica cosa organizzata.
Tutta questa “massa” è tenuta in piedi da
una minoranza della minoranza, di imprese, che esporta: tra questa solo il 2%
esporta il 50% del fatturato e che soltanto l’1% ottiene oltre il 75% dei
ricavi, dall’estero.
Il procedere dei divari, che sembra
costituire il motivo conduttore dell’economia italiana ha un altro lato nella
localizzazione della stessa. Con una centralità negli agglomerati urbani,
archiviando un altro totem italiano: i distretti.
Le imprese dislocate negli agglomerati
urbani, sono avvantaggiate, in termini di produttività, de 7,7% nel
manifatturiero e addirittura del 15,6 nei servizi.
Il vantaggio delle aree urbane deriva dalle
dimensioni dell’impresa, più grande maggiore produttività, più alto grado di
istruzione, più alta intensità di conoscenze. Ciò dimostra, se ancora fosse
necessario, che solo fare andare le mani non è di per se sufficiente.
C’è da aggiungere che tale dato di fatto,
porta con se anche una polarizzazione anche del credito, che ovviamente tende a
collocarsi dove “il cavallo beve”, come dicevano gli economisti.
Ciò rischia di accentuare una situazione
già critica.
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